Occidentali’s Karma
- Andrea Brambilla
- 19 mar
- Tempo di lettura: 10 min
Commento alle Nuove Indicazioni per infanzia e 1° ciclo di istruzione

AAA cercasi (cerca sì)
Storie dal gran finale
Sperasi (spera sì)
(F. Gabbani, Occidentali's Karma)
Sebbene noi insegnanti siamo considerati (non sempre a torto) una categoria di lamentoni, poco avvezzi alle novità, non si vuole leggere le Nuove Indicazioni 2025 con l’idea di doverci trovare per forza qualcosa di sbagliato. Scorrendo le pagine, mi sono reso conto di non avere sotto controllo l’evoluzione delle competenze e degli OSA della primaria, anche se, avendo ricevuto ragazzini in prima media per qualche anno, forse sarei stato tenuto ad aspettarmi qualcosa. Mea culpa, non sono neanche certo di quali fossero quelli al termine delle medie. Tanti, tuttavia, mi sembrano gli elementi positivi contenuti nelle Nuove Indicazioni 2025, alle quali sicuramente non si riuscirà a rendere giustizia in maniera puntuale. A monte di molti discorsi si dichiara che il curricolo delle scuole “non è mai solo un lavoro tecnico, gestionale, proprio delle gerarchie amministrative, realizzato da ‘sapienti’ fuori dalle scuole e dalle aule, distante dal lavoro vivo di insegnanti e studenti ma è, al contrario, un lavoro pratico, non sempre rendicontabile, altamente decisionale, espressione del lavoro vivo degli insegnanti e dell’impegno di scuole” (p. 20). Apprezzabili sono anche gli studi preliminari approfonditi poi nelle appendici finali, nei quali si fa riferimento a una prospettiva paneuropea, pur facendo l'errore di non menzionando mai l'ONU in tutto il documento, se non per l'Agenda 2030.
L’assente ha sempre torto
Come mi è stato gentilmente fatto notare, non ci sono esponenti dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca tra i membri della commissione. Viene in automatico il pensiero a domandarsi come mai? Ritenuti non all’altezza? È chiaro che la mia è una visione parziale, ma mi sentirei offeso. Il dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” è tra dipartimenti di Eccellenza 2023-27. Forse che non se ne voglia sentire il parere o che, a fronte di un invito, questo sia stato rifiutato? Non saprei, ma rimane un dato non di poco conto. Oltre all’istituzione, gli altri grandi assenti sono i riferimenti bibliografici, i pedagogisti: si nomina la Montessori (p. 24), ma tutti gli altri? Pensando poi al gioco, gli viene concesso uno spazio decisamente insufficiente mescolato ad altro nelle direttive sull’infanzia, dove dovrebbe regnare (p. 23).
Tra i fondamenti del discorso si parla di “attività personalizzate […] progettate in modo da chiedere sempre agli allievi, a prescindere dalla loro età e dalle loro diversità, una compartecipazione attiva nei processi decisionali che definiscono il loro progetto scolastico” (p. 14); ancora si menziona una “marca costruttivistica, promotrice del protagonismo degli studenti e supportata da ambienti di apprendimento innovativi” (p. 18); inoltre, “Dilatare a dismisura la quantità di conoscenze da insegnare diluisce […] la sostanza di quanto i discenti possono apprendere: occorre dunque scegliere conoscenze rilevanti (sul piano culturale), significative (sul piano scientifico), essenziali (sul piano formativo)” (p. 19). A ciò si aggiunge il riferimento del patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia non è di per sé una novità, ma è vitale ridirselo. Del processo educativo è “parte integrante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, gli alunni e le famiglie” in “reti allargate di rapporti umani e professionali” (p. 11). Troppo spesso ci sembra di remare in direzione contraria, di parlare una lingua diversa rispetto ai genitori sull’educazione dei loro figli, dinamica che costituisce per molti insegnanti una sfida sempre (più) difficile nella realtà quotidiana. Si tratta di elementi difficilmente non condivisibili oggi, che trovano seguito in diversi punti delle Indicazioni. La totalità di questi elementi posti a base del discorso, pur con parole diverse, è contenuta all’interno del Manifesto “Una scuola”, redatto da Francesca Antonacci e Monica Guerra (docenti della Bicocca), che costituisce una preziosa lente con cui osservare lo stato di avanzamento della scuola.
Non recipienti in cui versare
L’identificazione della funzione di scuola come “sede principale per la trasmissione di conoscenze legittimate” pecca sia in termini di trasmissione, sia di conoscenze legittimate (p. 18). Se ne capisce il riferimento alla norma, ma sa di autocratico. Più avanti, riguardo alla lingua italiana si dirà nuovamente di operare “trasmettendo nelle forme riconosciute come legittime dalla comunità colta” (p. 36). Significa che esistono delle conoscenze illegittime? Quali sarebbero e con quali criteri? E chi sono i membri di questa comunità colta che si arrogano tale potere? La scuola non dovrebbe servire a valutare criticamente tutte le conoscenze, capendo a quali dare credito e a quali no? Se dichiariamo illegittime alcune di esse, quando fuori da scuola gli alunni le incontreranno, avranno strumenti per difendersi e vagliarle?
“Ecco perché occorre una particolare cura affinché gli studenti nel primo ciclo effettivamente apprendano tutti i saperi del curricolo”. Tornando poi alla questione della trasmissione, è legittimo, appunto, tendere verso l'auspicabile obiettivo di consegnare un sapere che è la nostra storia alle nuove generazioni, ma queste non sono recipienti in cui versare contenuti. Si tratta di un vizio strutturale di forma, che mortifica la scuola e il sapere stesso che si ha la pretesa di consegnare.
Per trattar del ben ch'i vi trovai
Personalmente considero molto bello ciò che si dice sulle ragioni per cui si studia letteratura (p. 37). Allo stesso modo condivido quanto si dice sulla lettura integrale: “La lettura integrale deve sviluppare negli studenti l’allenamento alla lettura di testi lunghi e, soprattutto, la curiosità di vedere come va a finire la storia (una curiosità che evapora nella lettura antologica)” (p. 40); “soprattutto a questo stadio dell’istruzione bisogna evitare il feticcio della ‘infarinatura’. Tra gli undici e i quattordici anni è giusto leggere liberamente, felicemente, senza preoccuparsi di un fantomatico canone, e senza curarsi della storia letteraria”, prassi che da prof, mi rendo conto di aver perseguito, tendendovi (magari inconsciamente). Sposo, inoltre, l’idea di “organizzare incontri con autori e autrici di libri adatti alla loro età, incontri gestiti dagli studenti stessi secondo la modalità della presentazione e dell’intervista” (p. 43): da prof non mi era venuto in mente, mentre so di alcune amiche che già ci avevano pensato. L’esempio di modulo interdisciplinare sul fantasy è una bellissima idea, da costruire bene - posto che, per quanto mi piacciano e siano state influenti nella mia formazione, anche di scrittore, Le cronache del ghiaccio e del fuoco alias Il trono di spade, decisamente non sono un’opera adatta alle medie. Infine, sono interessanti gli spunti su come utilizzare l’IA in modo armonico alla letteratura (p. 47).
Ad maiora
Veniamo a un punto critico, oggetto di dibattito: la reintroduzione del latino, “nel corso degli ultimi due anni della secondaria di primo grado” (p. 48). Intanto occorre precisare che si tratta di un’ora a settimana in più (al pomeriggio), facoltativa. Viene spontaneamente una domanda: perché si era tolto? Non saprei, ma spero che tali ragioni siano state prese in considerazione dalla commissione incaricata. I motivi esposti nel testo (che si invita a recuperare) con cui si reintroduce il latino sono tutti encomiabili. Si tratta, tuttavia, di una scelta che tiene conto di come è cambiato il mondo, delle classi con alte percentuali di studenti per i quali l’italiano è una lingua straniera? Non rischia di essere una scelta elitaria oppure di far scappare anche quelli che magari sarebbero interessati, perché è troppo presto? Già accade (in alcune scuole) che in terza media, per gli studenti attratti vi sia la possibilità di avviare, a scelta, un avvicinamento al latino: non era già questa una buona soluzione? “L’accesso a un vasto e stimolante patrimonio di civiltà e tradizioni, rendendo possibile la percezione del rapporto di continuità e alterità che lega il presente al passato e promuovendo una sintesi tra visione critica del presente e memoria storica” è una cosa che si acquisisce, a mio modesto parere, al triennio delle superiori o, per qualcuno, all’università dopo tanto doloroso penare che passa attraverso la grammatica latina.
Tra gli OSA di fine ciclo (p. 49) si parla di pronuncia corretta delle parole (latine). Per quanto sia fascinosa la comparatio tra pronuncia restituta e scolastica, nessuno di noi ha mai sentito parlare Cicerone o detiene un WhatsApp audio segreto di Cesare. Non sappiamo pronunciare neanche correttamente l’italiano, perché ognuno ha il prezioso accento che la sua terra gli ha consegnato. Anche se si fa riferimento soltanto a prima e seconda declinazione, il sistema dei casi è complesso, a maggior ragione quando, in seconda media, non si ha ancora del tutto chiaro il funzionamento dell’analisi logica. Potrebbe servire per quelle scuole che studiano il tedesco già nel primo ciclo, eventualmente, ma la generalizzazione non funziona qui. Persino l’indicativo latino è difficile: si pensi al futuro latino, confondibile per alcune coniugazioni con l’imperfetto e che non c’entra nulla con quello che abbiamo ereditato in italiano. Difficile anche gustare a pieno l’etimologia delle parole, senza solide basi della lingua italiana. Infine, il box interdisciplinare appare un po’ campato per aria (pp. 49-50): per alcune ragioni ponderate, il mito solitamente si affronta in prima media, per nominare una criticità.
Permane dunque una domanda di fondo: cui prodest?
Niente di buono sul fronte orientale
“Solo l’Occidente conosce la Storia” (p. 68). Con tale frase (tracotante, pretenziosa, velleitaria, distruttiva) si apre la sezione dedicata allo studio di questa disciplina. È un’affermazione che dichiara a priori di essere dalla parte della ragione, in un atteggiamento arrogante e pericoloso, alla base dei regimi autoritari. Mi fa rabbrividire. Potrebbe però trattarsi di una frase a effetto per stupire, di una prospettiva scorretta da parte di me lettore, dunque è bene addentrarci nel discorso sostenuto. Appena oltre quella che, in maniera cattiva, si potrebbe leggere come la strumentalizzazione di un importante storico francese antifascista attraverso alcune sue parole “cristiane”, si dice che la nostra cultura è stata “intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo”, confermando una postura mentale di dominio, imposizione, che è esattamente il peggio del pensiero “occidentale”, di cui non mi vanterei affatto. Su ciò si è basata fino all’altro ieri (e di nuovo con Trump oggi) la fallace ideologia americana di esportare cultura e democrazia nel mondo. Proseguendo, si calca sulla questione dei diritti, la quale “assurge altresì a motivo decisivo per la formulazione di una presunta superiorità nei confronti di ogni altra popolazione e cultura della terra. Di quelle popolazioni e culture che nulla sanno di quanto sopra perché la loro storia ha seguito un tracciato assolutamente diverso non rivestendo perciò ad occhi occidentali alcun significato, potendo essere quindi tranquillamente ignorata”. Non ci siamo: il mondo è cambiato. È evidente che la nostra prospettiva parta dall’Italia e dall’Europa e ne siamo fieri; è vero che godiamo della scrittura nel nostro continente da tempo immemore, ma crescere le nuove generazioni basandosi sullo slogan ideologico che siamo gli unici, no. Crea uno strato di separazione subdolo con “le culture altre”, che è uno dei meccanismi alla base delle guerre. Inoltre, dire, come si afferma, che la storia sia lineare è riduttivo, tipicamente illuminista, positivista, neoliberista, in quanto si nutre dell’idea della possibilità di un progresso (anche morale, come si afferma nelle Nuove Indicazioni) infinito. Il pensiero stoico e neoplatonico (considerato nel testo superato rispetto alla concezione del tempo) è stato mutuato come base per il pensiero dei primi padri della Chiesa, ad esempio. Il tempo ciclico (notte-giorno, stagioni, età della vita) rimane altresì parte della nostra esperienza. Altre culture percepiscono il tempo in modi diversi e indagarne le ragioni non può che illuminare la nostra idea di tempo.
“La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente”. Il Brasile è considerato Occidente? L’Australia, il Giappone, il Sudafrica? Come mi è stato fatto notare, il concetto di Occidente può risultare veramente opinabile oggi: chi ne fa parte e chi no? Non è forse un qualcosa da postumi di Seconda Guerra Mondiale che non regge più? Crediamo ancora che gli USA siano i portatori della fiaccola della libertà? Si parlava nel testo del fatto che il mondo è cambiato: se ne tiene davvero conto con queste parole? Noi “occidentali” possiamo davvero dire che siamo liberi (da capitalismo, neoliberismo, globalizzazione, legislazionismo)? L’equazione Occidente è libertà, mi appare un po’ pretestuosa.
Rimane poi in sottofondo quel dubbio sul rischio di strumentalizzare la Bibbia. Essa viene nominata (e non a torto) a fondamento della nostra cultura, più volte nel documento, ma non credo che a forza di parole si possa auspicare un ritorno agli antichi fasti del cristianesimo, come udiamo nella narrazione di alcuni politici “occidentali”. Vedo piuttosto il rischio di ottenere un irrigidimento da parte di coloro (in crescita) che non si riconoscono nella fede cristiana.
Nel mio piccolo negherò l’incipit di questa sezione.
Geostoria
Rispetto ai programmi di storia delle medie, è positivo che ci sia uno scatto in avanti (in 3^ media si dovrebbe iniziare con la Prima Guerra Mondiale), con però un programma in 1^ media che va sfoltito (p. 74). Discutibili sono anche i titoli scelti per i temi dei macro-argomenti, soprattutto del III anno. Alquanto fatalista appare una delle sentenze finali sulla Storia: “Al contrario di quanto comunemente si pensa l’interazione con contenuti multimediali non è in grado di promuovere il pensiero critico e l’analisi storica” (p. 77). Quale sarebbe il libro che dice in modo inequivocabile la verità storica per l’Occidente? Qualunque esso sia, è dubitabile: dovessimo recuperare domani un’attestazione decisiva dell’esistenza concreta dell’indoeuropeo o sul medioevo antico che portò alla fine della civiltà minoica, dovremmo rimetterlo in discussione. Questa frase vuole forse dire che Barbero non si può utilizzare in classe?
In contraddizione con quanto sottolineato in precedenza si presentano le finalità della Geografia: “far superare l’egocentrismo allargando il punto di vista su spazi più ampi, idee e collettività diverse” (p. 79). Rimane positivo pensare che “La disciplina quindi non serve (solo) a sapere localizzare monti, mari e fiumi (informazioni che oggi si raccolgono in modo immediato), ma, soprattutto, ci aiuta a capire come pensano e si organizzano spazialmente gli esseri umani, in termini economici, politici, sociali e culturali, e perché si spostano e trasformano l’ambiente; ci aiuta a leggere le disuguaglianze e le diversità regionali e ci aiuta a porci in relazioni armoniose con il paesaggio e con l’ambiente” (p. 78). Interessante risulta anche la prospettiva di non andare a parlare di tutti gli Stati del mondo in una modalità da collezionista di esperienze, delle quali non ne rimane nessuna (p. 84). Sembra giusto dare priorità a quelli che hanno relazioni con l’Italia, ma non basta limitarsi a questi: l’attualità dovrebbe regnare sovrana qui, per comprendere a fondo i problemi in atto, i conflitti nel mondo, provare a dar loro un senso senza limitarsi al becero schieramento. Anche laddove questi sembrino in apparenza lontani da noi, l’alternativa è pensare che non ci riguardino, che siano di serie b, creando un strato di separazione. Tra le sottigliezze che si riportano, si afferma che la popolazione mondiale “sfiora ormai i nove miliardi” (p. 12). Dalle mie timide ricerche risulta che abbiamo appena superato gli 8, ma sarei curioso di conoscere le fonti scientifiche utilizzate a supporto di questo dato.
Alla luce di quanto osservato, siamo sicuri che queste Nuove Indicazioni siano volte a stimolare negli alunni “mente libera” e “identità aperta” (p. 10)? Sperando nel cuore di aver sbagliato nel giudizio personale, si lascia il beneficio del dubbio.
Link utili:
-Nuove Indicazioni 2025 Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione Materiali per il dibattito pubblico: https://www.mim.gov.it/documents/20182/0/Nuove+indicazioni+2025.pdf/cebce5de-1e1d-12de-8252-79758c00a50b?version=1.0&t=1741684578272
-Riferimento al sovraccarico dei curricola: OECD (2020a). Curriculum Overload: A Way Forward, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/3081ceca-en
-Manifesto “Una scuola” https://unascuola.blogspot.com/p/manifesto-per-una-scuola.html
-Sulla percezione del tempo: https://eurologos-milano.com/le-lingue-alterano-la-nostra-percezione-del-tempo/#:~:text=Ma%20per%20chi%20parla%20l,passato%20%C3%A8%20dinnanzi%20a%20noi.
-Due podcast di storia: https://open.spotify.com/show/6QrdBI77Kwg5rFjQwaeByQ?si=5275e62cb8974cfb