Gioco o narrazione? La questione ancor pende
- Andrea Brambilla
- 21 mag
- Tempo di lettura: 4 min

non giuocando, nel quale l’animo dell’una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell’altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo
(Giovanni Boccaccio, Decameron)
Prima di Pasqua mi è capitato di assistere a uno spettacolo teatrale sul Decameron, messo in scena da un’ottantina di ragazzi delle scuole superiori della Valtellina (sì, un’ottantina, non esagero) al Teatro Sociale di Sondrio, all’interno del progetto Teatro Incontro, ideato dalla regista e pedagogista teatrale Mira Andriolo. Al di là del mio stupore di fronte alla resa scenica e di tante altre emozioni legate all’esperienza di cambiamento vissuta da tante ragazze e tanti ragazzi incontrati, a un certo punto sono stato pungolato dalla frase riportata in calce nella sua forma originale, che Boccaccio fa dire a Pampinea (una dei 10 narratori), che semplificando potremmo riassumere così: «Non giocando, ma novellando questa calda parte del giorno trapasseremo». Nella meravigliosa cornice della campagna toscana, dove essi si erano rifugiati sì per fuggire lontani dalla peste, che affliggeva l’Europa nel 1348, ma anche per recuperare una dimensione di intimità con loro stessi che avevano perduto, Pampinea propone agli altri di passare il tempo raccontarsi storie, anziché giocando. Ora, risulta evidente che non potesse andare diversamente: senza questa decisione non avremmo quelle 100 novelle che sono uno dei capolavori della nostra letteratura, che hanno posto le basi per la prosa italiana. In alternativa, avremmo avuto un manuale di giochi medievali, che non ci è dato sapere in che modo avrebbe contribuito alla storia del nostro Paese. Oltre a chiedermi cosa si scegliesse maggiormente tra i due quasi 700 anni dopo nell’epoca dei vari lockdown, mi è sembrato interessante osservare le motivazioni che Boccaccio adduce, che diventano il pretesto per la riflessione contenuta in questo articolino.
Egli fa sostenere alla “regina” della giornata che, giocando, accade che il gruppo dei giocatori necessariamente si divide: qualcuno rimane turbato (perché perde); qualcun altro (anche se vince) rimane un po’ scontento perché ha causato questo turbamento; qualcuno rimane escluso perché non gioca, ma guarda e, nel fare questo, non si diverte più di tanto. Novellando, invece, una persona racconta e tutti gli altri ne traggono diletto. Non ho potuto non sentirmi un po’ ferito da questa frase: sia il gioco che la narrazione mi riguardano da vicino e pensare che Boccaccio (non uno qualunque) metta in qualche modo il primo in secondo piano rispetto alla seconda (come tendenzialmente, in modo più o meno inconscio, ci capita di pensare, ri-assunto nella frase: «Basta giocare! Prendi in mano un libro»), non poteva lasciarmi indifferente. Nella narrazione ci è più facile “vincere” quando ci immedesimiamo in un personaggio che agisce al posto nostro. Nella maggior parte dei giochi competiamo con altri giocatori, accettando l’eventualità di perdere. Giocare è dunque più rischioso? Siamo sicuramente più allenati ad ascoltare (subire) storie in modo passivo, piuttosto che a giocare a giochi in cui abbiamo parte attiva, dove esercitiamo la nostra agency. Esistono anche giochi pensati appositamente per illudere il giocatore di avere una parte attiva sul risultato, come avviene nel gioco d’azzardo o nei cosiddetti (video)giochi onanistici, ossia quelli che provocano intensi stati di gratificazione autoindotta che però non contribuiscono in nessun modo all’apprendimento, allo sviluppo o alla socializzazione del giocatore. Dall’altro lato, oltre a tener presente che esiste un ascolto attivo (che è faticoso da mantenere!), non si è finora tenuto conto del narratore della novella, che sicuramente esercita la sua agency (sceglie la storia, gesticola, modula la voce) e, come il giocatore, mette anche in conto di poter fallire: la storia che racconta può non piacere, il pubblico potrebbe annoiarsi.
Vuoi vedere che in realtà gioco e narrazione sono più simili di quanto non sembri? Per aiutarci nella questione, si potrebbero chiamare in causa numerose persone, ma optiamo per lo scrittore e sociologo francese Roger Caillois. Ne I giochi e gli uomini (1958) formula le 4 energie fondamentali che, combinate tra loro, generano i giochi: agon (la competizione), alea (il caso), mimicry (l’interpretazione di un ruolo, un personaggio), ilinx (la vertigine). Pensando in particolar modo ai giochi di mimicry (giochi di ruolo, teatrali), viene automatico mettere in relazione gioco e narrazione. Nella Divina Commedia, ad esempio, possiamo apprezzare tre livelli di esistenza di Dante: i) il personaggio storico (l’autore), ii) il narratore, iii) il personaggio, colui che intraprende il viaggio e agisce nella storia. In quest’opera (come nelle autobiografie) questi 3 livelli coincidono e dunque ci sono più facili da osservare. Nei giochi di mimicry (dunque anche nel teatro) sono presenti gli stessi 3 livelli di esistenza: i) la persona reale (che esiste al di fuori del gioco), ii) il giocatore (l’attore) nel gioco all’interno di quello che viene chiamato “cerchio magico”, iii) il personaggio che viene interpretato.
Dunque, il gioco è narrazione e la narrazione è gioco? È nato prima l’uovo o la gallina? In uno scontro all’ultimo sangue tra gioco e narrazione chi vince? Boccaccio ha fatto bene a scegliere di novellare? A ben guardare, ludologi e narratologi negli anni ottanta si sono confrontati (per non dire “scannati”) in un acceso dibattito, i cui oggetti del contendere non si discostavano troppo da queste domande. Tuttavia, la parola “fine” non è stata affissa a tutte le questioni. Nonostante ciò, sicuramente influenzato dalle storie sorprendentemente messe in scena dai ragazzi di Sondrio, Bormio, Tirano e Morbegno, mi pare che Boccaccio nella sua opera giochi coi suoi personaggi: si muovono in modo teatrale, compiono azioni platealmente irriverenti, giocano. Immergersi totalmente nei panni di un personaggio, pur all’interno di una finzione, permette di vivere emozioni e trasformazioni vere, reali, che si tratti di una novella o di un gioco.
Riferimenti utili:
Per approfondire le origini del progetto Teatro Incontro, vedi https://www.spartiacque.it/
Per approfondire le tematiche del gioco qui soltanto evocate, leggi Antonacci, F. (2025). Puer ludens. Poetica e politica del gioco. Milano: FrancoAngeli.
Per approfondire il dibattito tra ludologi e narratologi, vedi https://www.gamestudies.org/0101/juul-gts/